Avvocati attori messinesi in scena per sostenere i colleghi terremotati

Un palazzo della cultura gremito ha applaudito il “Berretto a Sonagli”, una delle più note opere pirandelliane portata in scena al Palacultura di Messina dalla compagnia di avvocati attori Salvis Iuribus, con la regia di Antonio Lo Presti.
La compagnia – costituitasi nel 2005 grazie a una idea proprio dell’attuale presidente dell’Ordine degli avvocati di Messina, Vincenzo Ciraolo, che ha trovato immediata sponda nell’allora presidente Francesco Marullo di Condojanni (ora componente del CNF) – ha portato in scena negli anni “Todo Modo” (Sciascia), “La città è salva” (Simone Weil), “La parola ai giurati” (Reginald Rose), “Il giudice e il suo boia” (Durenmatt), “La visita della vecchia signora” (Durenmatt), “Andreuccio, Fiordaliso e altre storie” (dal Decamerone di Boccaccio) e “L’hotel del libero scambio”(Georges Feydeau).
Il regista Antonio Lo Presti, forte della crescita del gruppo maturata in oltre dieci anni di lavoro insieme, ha affrontato la non facile sfida di dirigere una delle più riuscite e difficili opere pirandelliane e con i suoi attori non ha deluso le aspettative.
Splendidamente accompagnati dalle musiche eseguite da Nello Fatato e dalla voce della talentuosa Laura Fatato, i componenti della compagnia Salvis iuribus hanno dato vita a una rappresentazione che ha catturato fino alla fine l’attenzione del pubblico.
Questa commedia in due atti fu rappresentata in lingua italiana per la prima volta a Roma nel 1923 ma la sua morale risulta ancora oggi estremante attuale. Racconta la storia della signora Beatrice Fiorica (Patrizia Causarano), che gelosa e insoddisfatta, vuole denunciare al delegato Spanò (Marcello Fatato), amico di famiglia, il tradimento del marito con la giovane moglie (Barbara Pilot) del suo scrivano Ciampa (Franco Velardi) anziano a conoscenza della situazione che tuttavia tollera purché venga preservata la sua rispettabilità, il suo “pupo” insomma. E mentre tutti provano a portare “pace” in famiglia – dal fratello di Beatrice don Fifì (Pino Magrofuoco), alla madre (Isabella Celeste), alla donna di servizio Fana (Paola Pirri) – a infuocare l’animo della signora Beatrice pensa la Saracena (Isabella Celeste).
In quest’opera c’è tutto l’amaro umorismo pirandelliano. La visione di una società che ci ingabbia fino a costringerci a essere “pupi” e nella quale l’unica via per dire la verità resta quella di fingersi pazzi. “Niente ci vuole a fare la pazza, creda a me! Glielo insegno io come si fa – dice Ciampa alla povera signora Fiorica che vorrebbe giustizia. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!”.
Parole pesanti che a quasi 100 anni di distanza da quando furono scritte risuonano quantomai vere.
Gli incassi della rappresentazione andranno, come sempre in beneficenza. Quest’anno saranno devoluti a favore dei colleghi del Centro Italia che hanno subito la perdita della casa o degli studi professionali a causa del terribile sisma di qualche mese fa.
“Grazie dal più profondo del cuore per l’affetto, la vicinanza e il sostegno che ci fate sentire come Ordine degli avvocati ma anche come cittadinanza tutta”. Così ieri il presidente dell’Ordine degli avvocati di Perugia, Gianluca Calvieri, ha ringraziato in diretta telefonica il presidente dell’Ordine degli avvocati di Messina Vincenzo Ciraolo che lo ha chiamato dal palco alla fine della rappresentazione.
Ad aprire lo spettacolo un messaggio commosso in memoria del giudice Pietro Miraglia stroncato da un infarto mentre stava celebrando una udienza in tribunale e di tre colleghe recentemente scomparse Rosa Basile, Piera Ardizzone e Laura Autru Ryolo.

Dal “Berretto a Sonagli”
“Deve sapere, signora mia che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa: la seria, la civile, la pazza. Soprattutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. ‑ Ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati. ‑ Non si può. ‑ Io mi mangerei ‑ per modo d’esempio ‑ il signor Fifì. ‑ Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: ‑ «Oh quanto m’è grato vedervi, caro il mio signor Fifì!». Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s’intorbidano. E allora… allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr’otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio! “.

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