“Mi chiamo Lucy Barton”, il romanzo paradigmatico di Elizabeth Strout

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Con “Mi chiamo Lucy BartonElizabeth Strout, già premio Pulitzer per Olive Kitteridge, portato sul piccolo schermo da Francis Mcdormand, ha confermato il suo talento scrivendo un altro mirabile romanzo.

Il libro inizia con la venuta della madre della protagonista proveniente da Amgash, Illinois, centro del Midwest Americano,  nell’ospedale New yorkese dove è ricoverata la figlia, dalla cui stanza si può vedere il Chrysler Building.

Per molte pagine il libro è incentrato sul dialogo che le due donne intrattengono tra loro, sui ricordi di infanzia di Lucy, principalmente ricordi della povertà, della miseria in cui viveva la sua famiglia.

Ma non c’è solo disperazione ed angoscia nel romanzo, fanno breccia anche ricordi di gioia pura legati a quel nucleo familiare così eterogeneo. Il fratello di Lucy dorme con i maiali ed è omosessuale, immagine che riaffiora nella mente della protagonista, la quale è più che contenta di avere nella propria camera d’ospedale la madre amata.

Elizabeth Strout

L’autrice Elizabeth Strout

Lucy, infatti, vuole molto bene a sua madre, e l’amore è ricambiato, anche se in modo imperfetto; il libro ha un tono molto lirico, ci mostra come tra le due la confidenza, il pettegolezzo, persino qualche innocente parolaccia servano a cementare l’unione tra di loro ed a mantenere le promesse di quella che sembra una felicità  familiare.

Ma sono gli anni del college il periodo più felice di Lucy: le nuove amicizie, l’amore per la letteratura, qualche figura maschile importante a livello sentimentale fanno parte del suo nuovo mondo, così diverso perché variegato e cosmopolita rispetto alla cittadina di provincia dove è nata e cresciuta, qui fa i suoi primi passi come donna ed incontra il suo futuro marito.

Romanzo molto doloroso, molto materialista, con delle intelligenti riflessioni sulla differenza tra voce narrante e protagonista, su cosa un lavoro di finzione deve parlare, fino alla constatazione mai banale sull’importanza del denaro per avere una vita serena e che quest’ultimo rappresenta non solo lusso ma anche potere nella società contemporanea

Il racconto di Lucy continua anche dopo la fine della degenza in ospedale, si può osservare il nucleo familiare prima crescere, riunirsi per la morte dei genitori di Lucy, ed infine sfaldarsi con il divorzio della protagonista con suo marito quando entrambe le figlie raggiungono l’età per andare al college.

Mi chiamo Lucy Barton

Mi chiamo Lucy Barton

Mi chiamo Lucy Barton  è una storia paradigmatica, come lo era Olive Kitteridge, sulla condizione umana nel XX secolo; è un libro che nonostante il più razionale materialismo comunica una sensazione di calore, non di consolazione, un romanzo tanto grande che chi scrive si trova in imbarazzo a battere una semplice  recensione, tanto grande è il materiale letto.

Con una scrittura essenziale, sapiente, Elizabeth Strout ha creato un altro successo artistico, perché la scrittrice è certamente un’artista. Si consiglia la lettura a delle lettrici più che a dei lettori, le quali sapranno sicuramente sintonizzarsi meglio sulle corde emotive del libro.

Recensione realizzata da Fortunato Carrozza

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