Il “Don Chisciotte” del coreografo Fabrizio Monteverde in scena al Vittorio Emanuele

"Io, Don Chisciotte"Una scena del balletto "Io, Don Chisciotte"

Fabrizio Monteverde firma una nuova versione coreografica del “Don Chisciotte” di Cervantes. Lo spettacolo andrà in scena al Teatro Vittorio Emanuele venerdì 17 gennaio 2020, alle ore 21, e sabato 18, alle 17:30. Esponente di una generazione di talenti che ha trovato il suo momento di successo a partire dagli anni Novanta, Monteverde svolge, da oltre trent’anni, un lavoro di elaborazione stilistica e drammaturgica che ne rende il segno unico e riconoscibile. Dopo capolavori come “Giulietta e Romeo”, in scena per oltre 400 recite e il cui debutto del 1988 determinò l’ascesa stessa del coreografo romano; dopo molti altri successi prodotti dal Balletto di Roma come “Otello”,  “Bolero”, “Cenerentola”, “Il Lago dei Cigni ovvero il Canto”, ora è la volta di “Don Chisciotte”.

Una delle scene del balletto “Io, Don Chisciotte”, del coreografo Fabrizio Monteverde

Per la stagione 2019/2020 e per dare avvio ai festeggiamenti dei 60 anni del Balletto di Roma (1960 – 2020),  su invito del direttore Artistico Francesca Magnini e del Direttore Generale Luciano Carratoni, Monteverde torna in pista per rileggere in chiave coreografica un’altra pagina della letteratura mondiale: il capolavoro del Siglo de oro, “Don Chisciotte”. In questa versione del romanzo spagnolo di Cervantes, il protagonista non smette di incarnare la doppiezza, la “con-fusione” degli opposti. Al centro della scena, infatti, senza un significato presunto univoco, si stagliano i rottami di un’auto abbandonata (cavallo da corsa dei nostri giorni), simbolo di un mondo in trasformazione continua. Sempre in bilico tra intenzioni logiche, razionali, ben espresse e azioni assurde, temerarie, Don Chisciotte, con il suo sguardo strabico sulla realtà, conquista la gloria attraverso avventure sconnesse e poco calcolate, imponendo la propria illusione sulla realtà con eroico sprezzo del ridicolo: elemento disturbante e artefice del caos, in fondo ci dimostra che ogni cosa, ogni persona è sempre altro da quello che dice di essere. L’errore è verità e la verità è errore in una società che, soprattutto per un Don Chisciotte poeta, folle, mendicante come quello immaginato da Monteverde, è alla rovescia.

Sulla scena, i rottami di un’auto abbandonata, simbolo di una realtà in trasformazione.

Il mondo, del resto – così come la scena – è sempre diverso in base al punto di vista da cui lo si osserva e la verità si manifesta solo nella libertà di muoversi al suo interno, una libertà incondizionata che testimonia l’inseguimento di un sogno, la ricerca del proprio “io bambino”, il desiderio infinito di amare. Questo Don Chisciotte bizzarro, pazzo cavaliere animato dall’idea di combattere per una giusta causa, fa danzare quei valori umani e artistici rappresentati da un protagonista che grottescamente contrasta i privilegi, spesso sordi e ben ovattati, imperscrutabili. “Io, Don Chisciotte”, rappresenta la rivincita del senso “individuale” contro il dominio dell’astratta “universalità” delle leggi umane: una lotta contro i mulini a vento che diventa metafora della ricerca di un’identità, di quella persa dell’uomo fuori dal tempo, guerriero che combatte una guerra già finita e che si è smarrito nella pazzia dell’hidalgo o nell’ignoranza di Sancho Panza. Quel che la danza testimonia come imprescindibile è che l’azione dell’uomo non trova mai “un fine” e neppure “una fine” in senso assoluto, perché in fondo il bello – dice Don Chisciotte – “sta a impazzire senza motivo!”.

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