Sindoni: “A Milano il nostro punto più alto. Cercavo una nuova quotidianità”

Peppe SindoniPeppe Sindoni per quindici anni è stata l'anima dell'Orlandina

Giuseppe Sindoni, fondatore dell’agenzia specializzata Brightside Sports ed ex direttore sportivo e figura di assoluto riferimento per oltre quindici anni dell’intero mondo dell’Orlandina, ha concesso una lunga intervista a Basketcatanese. Al centro delle sue riflessioni il suo ex club, al quale è profondamente legato e assicura ancora oggi una consulenza esterna, la stretta attualità ma anche i ricordi più belli della sua giovane ma ricca carriera. “L’idea dell’agenzia è nata a maggio, per trovare stimoli nuovi dopo la quotidianità vissuta con la prima squadra per gli ultimi quindici anni. Vogliamo stare vicini ai giocatori, creando i canali giusti anche extraeuropei, grazie alle nostre conoscenze maturate in tanti anni di pallacanestro”. 

Peppe Sindoni

L’ex direttore sportivo Peppe Sindoni

Sindoni ha spiegato perché ha lasciato il club presieduto dal padre. “Volevo fare qualcosa di diverso e non mi vedevo in un altro club come ds né ho pensato troppo a cosa sarebbe successo l’indomani. Nessuna offerta mi ha esaltato e non ho ricevuto alcuna reale chiamata dopo la mia decisione assunta il 9 aprile scorso. Fuori dal campo si sono fatti tanti passi avanti nella professionalità. Sono fiero di aver costruito un’organizzazione duratura e questo non è semplice ottenerlo, specie per le realtà del Sud. Siamo ripartiti in perfetto stile, anche dopo la retrocessione dalla massima serie. Probabilmente la serie A disputata per tanti anni per un posto così piccolo è tanto, la A2 probabilmente è la categoria giusta al momento, ma ripeto la stabilità ottenuta dal management è un’ottimo biglietto da visita. Ho contribuito a far capire all’appassionato dell’Orlandina che oltre ai successi in campo contano anche i bilanci, per poter sfidare i nostri sacri del nostro basket”.

Capo-Sassari

La grinta del presidente Enzo Sindoni (foto Alessandro Denaro)

Nel 2017 una stagione a due velocità caratterizzata sia dalla partecipazione in Europa che da una retrocessione arrivata sul filo di lana: “La partecipazione alla Champions League non ha inciso sul nostro campionato. Ci ha tolto punti in classifica, quello sì, ma in fin dei conti eravamo undicesimi. Siamo crollati dopo la nostra eliminazione. Lì abbiamo capito che Capo d’Orlando non era pronta per quel livello molto alto. L’annata ha parlato per noi ma ci ha permesso di portare in città giocatori altrimenti inavvicinabili senza una dimensione europea. Comunque una retrocessione andava messa in conto e l’esserci confrontati a quel livello ci ha fatto bene. Non abbiamo vinto in campionato per la bellezza di quindici partite e secondo me la meritammo quella retrocessione. La salvezza magari ci poteva stare ma Pesaro ha compiuto un’impresa maggiore della nostra, insieme a qualche risultato ottenuto in modo eclatante”. 

Fitipaldo

Fitipaldo in cabina di regia (foto Roberta Fazio)

Strana la sua assenza dal PalaFantozzi, dopo che negli ultimi quindici anni il dirigente paladino ha raggiunto traguardi che gli sono valsi il titolo di miglior dirigente di serie A nella stagione 2016/2017: “Sette anni in serie A sono tanti per Capo d’Orlando, non è l’ottavo anno o meno a cambiare la prospettiva generale. Mi sembra strano non essere lì oggi in sede ma dovevo staccare dopo tanti anni e poi la mia consulenza è sempre garantita, considerato che il patron unico del club è mio padre. Il settore giovanile secondo me porterà a qualcosa di concreto a breve e potrà fare sbocciare qualche giovane interessante. Ricordo sempre nell’anno della retrocessione, il 2017, l’acquisto sul mercato prima di Faust e poi di Smith, che non spostarono il livello. Non volevamo fare fesserie e andammo avanti accettando la retrocessione arrivata sul campo. L’anno prima, il 2016, ancora più importante fu la cessione al Galatasaray di Fitipaldo, che ci fece conosciere nell’intera mappa del mercato internazionale. I soldi li reinvestimmo su Ivanovic e ricordo come provai con decisione a prendere Candi dalla Fortitudo proprio per costruire qualcosa di duraturo per il futuro”. 

Giuseppe Sindoni

Giuseppe Sindoni ritira il premio al miglior dirigente (Betaland)

Sindoni non nasconde la sua ammirazione per la Dolomiti Energia, una squadra affrontata tante volte in carriera in questi ultimi anni: “Un club che ammiro molto è Trento che fece con noi Dna, due anni di A2 e poi serie A per quattro anni di fila. La loro crescita a livello di club fu entusiasmante ma sappiamo che loro operano in un territorio molto differente a livello economico rispetto alla Sicilia, dove purtroppo spesso le situazioni esterne fanno diminuire la passione dei proprietari”.

Una ferita aperta resta invece il mancato adeguamento del palasport paladino: “Il progetto per la realizzazione del palazzetto da 5.000 posti rispondeva all’esigenza della Federazione di dotarsi di una struttura di queste dimensioni. Poi tutto è finito nel nulla. Noi non abbiamo bisogno necessariamente di un palazzetto grande di un PalaFantozzi ammodernato e più funzionale. Si sa che il basket attecchisce di più nei capoluoghi di provincia di circa 70.000 abitanti, come Varese, Brindisi o Cantù piuttosto che nelle metropoli, che però hanno altre potenzialità economiche. Invece di costruire palazzetti grandi quindi, vorrei strutture vere con attrezzature funzionali al basket come palestre e canestri”. 

The Dream

Ingrillì, Crocetta e Sindoni insieme a Palermo

Le soddisfazioni più recenti sono rappresentate dall’aver contribuito con il suo team alla definitiva valorizzazione dei fratelli Laganà e all’ascesa di diversi giovani giocatori paladini, simboli di un settore giovanile in continua ascesa. “Aver valorizzato e puntato in tempi non sospetti su Matteo Laganà mi rende felice perché sapevamo le qualità del ragazzo e del nostro staff tecnico ma ancor più aver portato in serie B Giorgio e Giancarlo Galipò, espressione del nostro settore giovanile di un territorio di 13mila abitanti. Su Matteo devo dire che a 20 anni ha un corpo di ottimo livello ma sa che deve crescere a livello di motore per giocare ad alti livelli. Ha comunque punti di forza precisi a 20 anni come il tiro e la sfrontatezza nei finali di gara. Lui è il prossimo play-guardia secondo me a fare lo step importante la prossima estate. Suo fratello Marco per me in carriera ha pagato l’essere un giocatore di personalità. Questi giocatori sono spesso richiesti ma poi non gestiti bene dagli staff tecnici. È un giocatore forte a livello di talento ma oggi si preferisce avere giocatori più politicamente corretti. Lui vale molto di più dell’essere il migliore italiano di serie A2. In estate devo ammettere di averlo consigliato a una squadra che milita in Champions League. Sono troppe le variabili però che incidono su una carriera di un ragazzo”. 

Betaland Capo d'Orlando - Olimpia Milano

Ivanovic in cabina di regia (foto Roberta Fazio)

Il dirigente spiega come con tanti giocatori si creino amicizie che vanno ben al di là dell’aspetto tecnico: “Con tanti ex giocatori oltre a seguire negli anni le loro carriere ancora ci sentiamo spesso, penso a Nikola Ivanovic. Dà soddisfazione vedere un giocatore partito dal basso arrivare a livelli più alti perché dietro il giocatore c’è sempre la persona con cui hai condiviso belle esperienze di vita quotidiana e intrecciato relazioni umane. Il lato tecnico è importante però le persone interessanti noto come abbiano maggiori possibilità di farcela anche a livello sportivo. Quando questo succede allora capisco di essere riuscito a incidere realmente”.

Orlandina-Reggio Emilia

ll ritorno in campo di Nicevic con l’abbraccio al ds Sindoni (foto Alessandro Denaro)

In conclusione spazio dedicato alla classifica dei giocatori che più di tutti gli sono rimasti nel cuore in tutti questi anni di pallacanestro oltre alle due partite che ricorda con maggiore affetto. “A livello umano cito Sandro Nicevic per me figura insostituibile e Dominic Archie, loro due sono gli unici presenti in organico sia nell’anno della promozione che della finale persa con Trento. Basile non conta perché fuori categoria per cui inserisco pure in un personale quintetto Diener, Ivanovic e McGee. Sono due invece le gare che ricordo di più entrambe nella stagione storica del 2016: una vittoria brutta tecnicamente ma voluta fortemente col punteggio di 52-51 contro Venezia che rappresentò il successo precedente all’arrivo di Boatright che cambiò la stagione. Poi la serata di gala fu gara 1 dei playoff a Milano, in un match reso celebre dal tunnel di Tepic sotto le gambe di Hickman. Giocavamo bene e vincevamo e forse quell’Orlandina resterà un punto irripetibile della nostra storia”. 

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