Orlando come Musa: anche 40 anni fa una prodezza di un esordiente decise il derby

Ezio Musa

Ezio Musa

A volte basta un gol, segnato all’esordio nella porta giusta, per fare entrare nel cuore dei tifosi un calciatore. La porta giusta di solito, per i tifosi peloritani, è quella della Reggina ma anche quelle del Catania e del Palermo sono molto gettonate. Sono situazioni che non si verificano spesso, ma quando accadono hanno il potere di infiammare il popolo pallonaro della riva siciliana dello Stretto. È toccato a Luca Orlando, venerdì sera al “Granillo” di Reggio, rinverdire questa tradizione, con quel funambolico colpo di tacco che ha mandato in sollucchero il migliaio di cuori giallorossi al seguito della squadra e le tante migliaia sintonizzate su Sportube. Accadde 40 anni fa ad Ezio Musa, che riuscì a bagnare il suo esordio in maglia biancoscudata  con una prodezza rimasta negli annali del  calcio messinese.

Arrivato poche ore prima in riva allo Stretto, pagato ben 150 milioni delle vecchie lire (nel 1974 erano soldoni) dal presidente Giovanni Gulletta all’Arezzo, Ezio Musa da Castelguelfo dell’Emilia in provincia di Bologna, era un piccolo funambolo che già in quella partita fece impazzire D’Astoli, il terzino amaranto con il quale per un paio di stagioni duellò in serie C, facendogli finire spesso le partite prima del tempo.

L’ultimo derby al “Comunale” si era giocato sette anni prima in serie B, stagione 1967-68 (0-0). Corsi e ricorsi storici. La Reggina appena retrocessa dalla serie B era stata affidata a Carlo Regalia e partiva con i favori del pronostico; il Messina era reduce dalla stagione trionfale in serie D ed in panchina era guidata da Franco Scoglio.

Il professore schierava sin dal primo minuto il nuovo acquisto, che con la maglia dell’Alessandria, nel campionato 1972-73, aveva realizzato 15 reti. Gli amaranto, che per l’occasione indossavano una tenuta completamente bianca, erano andati vicini al vantaggio in almeno tre occasioni (Pianca, Tripodi e Del Fabbro avevano fatto tremare i polsi al portiere biancoscudato Lorenzetti), ma anche il Messina aveva creato le sue palle gol con capitan Lo Bosco e Castronovo: un match combattuto ma sostanzialmente corretto.

Il pallone calciato da Musa batte Castellini

Il pallone calciato da Musa batte Castellini

Al 32’ della ripresa di quel derby, Musa conquistava al limite dell’area calabrese un calcio di punizione concesso dal signor Bergamo di Livorno. Il pallone piazzato poco più di un metro lontano dalla lunetta dell’area, in posizione centrale. Lo Bosco, Tripepi e l’estroso Ezio giravano intorno alla sfera e scrutavano la barriera che proteggeva la porta amaranto: sembrava studiassero la maniera per aggirare quel muro di uomini. Per ben due volte il direttore di gara era costretto a fermare la battuta, ma al terzo tentativo Musa azzeccava la traiettoria giusta, colpendo la sfera di destro, con il collo interno. Ne veniva fuori un pallonetto beffardo che superava la barriera: Castellini piazzato sulla destra era costretto ad un tuffo sulla sinistra, ma il pallone scendeva e si infilava sotto la traversa regalando ai messinesi la vittoria nel derby. I cinquemila tifosi giallorossi presenti al “Comunale” si lasciavano andare a scene di gioia, nella gradinata scoperta scoppiava la baraonda, con una scazzottata collettiva fra le opposte tifoserie. Nei minuti finali la Reggina tentava di risalire la china, Tivelli aveva la palla buona ad un minuto dal termine, ma la sua conclusione finiva di pochissimo al lato. Al triplice fischio di Bergamo, i giocatori giallorossi esultavano per la vittoria che proiettava il Messina alle spalle della capolista Catania.

Oggi, come quaranta anni fa, il derby non ha perso il suo fascino. Orlando oggi, Musa ieri hanno infiammato i cuori dei tifosi giallorossi, ma come dimenticare il gol vittoria di Protti in serie B o quelli di Cristante e D’Agostino in massima serie? Questa è la bellezza del derby, che ha il potere di riavvicinare le due tifoserie dello Stretto alle proprie squadre, nel segno di una rivalità sportiva che non avrà mai fine.

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