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Emilio Solfrizzi è “Il malato immaginario” di Molière al Vittorio Emanuele

Nella stagione delle celebrazioni per Molière e i suoi 400 anni dalla nascita, va in scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina “Il malato immaginario”, commedia con Emilio Solfrizzi, per la regia di Guglielmo Ferro. Un malato che riflette bene le incertezze del nostro tempo e la cui malattia è solo immaginata, immaginaria, dettata dall’incapacità di saper reagire a ciò che accade intorno, alle sfide del quotidiano, alle tante persone che ambiscono alla sua sopraffazione, tanto da rendere il prigioniero di se stesso, della sua “malattia” e perennemente disperato.

Il protagonista de Il malato immaginario Emilio Solfrizzi

Una sorta di incomunicabilità ante-litteram, dove ognuno recita “una parte” senza dare realmente risposte all’altro: il protagonista malato non verrà realmente curato dai medici; la moglie finge di amarlo ma mira ai suoi beni; le figlie fingono di stare al suo gioco, e così via. “Così Argante (Emilio Solfrizzi), malato immaginario, non ne vuol proprio sapere di stare bene, per non confrontarsi con i suoi problemi e ha più paura di vivere, che di morire”. I nomi stessi dei cerusici (Dottor Purgone, il farmacista Olezzanti, il Dottor Diarroicus), ma anche del notaio Buonafede, danno la cifra di una commedia in cui nulla è lasciato al caso, dove al contrario tutto contribuisce alla connotazione di un significato ben più profondo della immaginata malattia. E se le figlie Angelica e Luigina sono personaggi che vanno oltre il loro secolo, moderne, la moglie Belinda è il tipico personaggio della pseudo-innamorata le cui mire sono solo materiali.

Una scena in cui il malato è assistito dai medici

Il personaggio del fratello Beraldo e della serva Tonina costituiscono invece il volto nuovo di un teatro in evoluzione, seppur ancorato in qualche modo a quella che si chiamava commedia dell’arte, ma che in Francia aveva caratteristiche didascaliche, rispetto all’Italia. Sono la leva del cambiamento, la scintilla instillata in Argante affinché ritorni ad essere se stesso, a colloquiare con il suo io recondito, per sconfiggere la solitudine in cui si era rinchiuso. “Il teatro come finzione, come strumento per dissimulare la realtà, fa il paio con l’idea di Argante di servirsi della malattia per non affrontare i dardi dell’atroce fortuna. Il malato immaginario ha più paura di vivere che di morire, e il suo rifugiarsi nella malattia non è nient’altro che una fuga dai problemi, dalle prove che un’esistenza ti mette davanti. La tradizione, commettendo forse una forzatura, ha accomunato la malattia con la vecchiaia, identificando di conseguenza il ruolo del malato con un attore anziano o addirittura vecchio, ma Molière lo scrive per se stesso quindi per un uomo sui 50 anni, proprio per queste ragioni un grande attore dell’età di Emilio Solfrizzi potrà restituire al testo un aspetto importantissimo e certe volte dimenticato. Il rifiuto della propria esistenza.

Argante e la serva Tonina, interpretata da Lisa Galantini

La comicità di cui è intriso il capolavoro di Molière viene così esaltata dall’esplosione di vita che si fa tutt’intorno ad Argante e la sua continua fuga attraverso rimedi e cure di medici improbabili crea situazioni esilaranti. Una comicità che si avvicina al teatro dell’assurdo, Molière, come tutti i giganti, con geniale intuizione anticipa modalità drammaturgiche che solo nel ‘900 vedranno la luce. Si ride, tanto, ma come sempre l’uomo ride del dramma altrui”, sottolinea Guglielmo Ferro. Messo in scena per la prima volta il 17 febbraio 1673 da Molière al Palais Royal di Parigi, dove lo stesso commediografo vestiva i panni del protagonista, questo rappresenta “l’ultimo atto” del grande autore francese. In scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina sabato 5 e domenica 6 marzo, alle ore 21:00, “Il Malato immaginario” vede impegnati artisti affermati quali Emilio Solfrizzi, Lisa Galantini, Antonella Piccolo, Sergio Basile, Viviana Altieri, Cristiano Dessi, Pietro Casella, Cecilia D’Amico, Rosario Coppolino, con adattamento e regia di Guglielmo Ferro.

Grazia Maria Managò

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Grazia Maria Managò

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